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Title:Ave Maria in Aramaico
Duration:17:01
Viewed:29,499
Published:31-01-2024
Source:Youtube

Il saluto tradizionale ebraico Shalom: "pace", che con verbo o complementi sottintesi diviene "pace a Voi!", "la pace sia con Te!". Il testo originale, scritto in greco (Luca 1,28 e 1,42), lo rende con l'imperativo presente khàire ("rallegrati"). Ad esempio, in inglese sono ammesse e usate due traduzioni della parola iniziale: "Salute" (inglese Hail) che riflette la traduzione latina, e "Rallegrati" (Rejoice) che rende l'originale greco. La parola χαῖρε, khàire, ricompare nella Notte Santa fra le parole dell’angelo, che dice ai pastori: «Vi annuncio una grande gioia» (2,10). Ricompare – in Giovanni – in occasione dell’incontro con il Risorto: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Nel greco classico e della koinè, gioia e grazia (chará e cháris, in italiano carità) sono due parole che condividono la medesima radice. Questo era il comune modo di salutare fra i greci della koinè, e continua ad esserlo anche nel greco moderno. La preghiera comprende due passaggi del Vangelo di Luca: "Ave, il Signore è con te", e "Benedetta tu sei tra le donne [Questa prima parte non si trova in vari fra i migliori manoscritti, compreso B, ma si trova in bocca ad Elisabetta in Luca 1:42. Anche la versione CEI non la contempla.] e Benedetto è il frutto del tuo grembo", nonché "piena di grazia" dal Giovanni 1,14[8] (che, però, in Giovanni è riferito a Gesù, Parola piena di grazia, e che, nel caso di Maria, sarebbe meglio tradurre con "Gratia cumulata," piuttosto che con "Gratia plena." Farrar (C. G. T.) e Bengel). A metà del XIII secolo l'Europa occidentale la preghiera consisteva solo di queste parole con la sola aggiunta del nome "Maria" dopo la parola "grazia", come è evidente dal commento di San Tommaso d'Aquino per tale preghiera. La parola κεχαριτωμένη, (kecharitōménē), qui tradotta come "piena di grazia", ammette di varie traduzioni. Grammaticalmente, la parola è il participio perfetto passivo femminile del verbo χαριτόω, charitóō, che significa "mostrare, o elargire, grazia" e qui, nella voce passiva, "essere mostrato, o elargito, nella grazia". Questo verbo appare anche nel resoconto dell'Annunciazione contenuta nell'apocrifo Vangelo dello pseudo-Matteo, al capitolo 9.



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